Dopo mesi si torna a parlare dei pericoli legati alle challange che nascono sui social network e con velocità strabiliante si diffondono sul web. Una challange è una sorta di moda, un insieme di rituali e azioni che chi accetta la sfida, deve svolgere.
Ciò che più spaventa, è la viralità di tali challange, ovvero l’effetto contagio e il numero di persone, soprattutto adolescenti, che cadono in queste reti.
In diverse occasioni è capitato che ragazzi catturati da queste sfide si siano fatti del male e, nei casi più estremi, abbiano perso la vita. Ad essere sempre più spaventati sono i genitori che s’interrogano sulla sicurezza dei loro figli. Una delle più famose challange è stata la Blue Whale, che sostanzialmente incitava le persone a svolgere prove sempre più difficili fino, di fatto, al suicidio. In realtà, come ha riferito lo UK Safer Internet Center, il caso Blue Whale è “un esempio di fake news sensazionalizzata”. I media hanno contribuito a generare allarme intorno a un fenomeno poco noto cavalcando la paura, talvolta anche “pompando” la notizia[1].
Il caso Jonathan Galindo, è chiamato in causa per tentare di spiegare il suicidio del bambino undicenne di Napoli. L’ipotesi è legata al biglietto lasciato dal bambino ai genitori: “Mamma, papà vi amo. Devo seguire l’uomo col cappuccio nero, non ho più tempo. Perdonatemi”. Chi è quell’uomo nero però, non è dato a sapersi, e spiegare l’ignoto con misteriose challenge della rete, è la cosa più semplice.
Ed è proprio in questo contesto di poca chiarezza e di ignoto, che nascono i “giochi” terribili con personaggi spesso realizzati con il solo obiettivo di creare viralità nel web, proponendo queste “sfide” con nomi fittizi, per spaventare, minacciare, perseguitare.
Dietro questi profili potrebbero esserci ragazzi che si divertono a impaurire i coetanei più fragili oppure adescatori con l’intento di abbindolare e manipolare i più giovani facendo leva sulla loro curiosità. Il rischio principale sta nel fatto che, i giovani, essendo soggetti particolarmente vulnerabili e influenzabili, potrebbero trovarsi in pericolo senza però avere gli strumenti adatti per riconoscere e gestire i lati oscuri di queste mode[2].
Essendo figli di una società competitiva in cui violenza e aggressività sono all’ordine del giorno sul web, i giovani tendono ad accettare queste challenge per curiosità, trasgressione o per rafforzare il proprio ruolo sociale all’interno di un gruppo, dimostrando a tutti il proprio coraggio.
Spesso ci si interroga sulla correlazione tra suicidio e sfide sul web, ma secondo Riccardo Meggiato, consulente di cybersecurity e digital forensics, affermare che il suicidio sia una diretta conseguenza di qualche challenge sui social, è alquanto esagerato. Il suicidio, nella quasi totalità dei casi, è frutto di problematiche pregresse e di situazioni irrisolte, non è un raptus.
[1] https://www.wired.it/play/cultura/2017/09/29/fine-blue-whale/
[2] https://www.adolescienza.it/social-web-tecnologia/internet-challenges-viaggio-dentro-il-fenomeno-web-che-spaventa-i-genitori/